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Diario di viaggio. Berlino 2017

Diario di viaggio. Berlino 2017

Diario di viaggio. Berlino.

Nonostante sia già ritornata a casa da ben due lunghi giorni, sento ora il bisogno di ricordare questo meraviglioso viaggio, per riassaporarlo e comprenderlo, non più immersa in quel vortice di emozioni contrastanti, ma ora al riparo nella mia camera, ora posso lucidamente dare voce alla mia memoria.

Primo giorno. Martedì 28 febbraio.

Oggi a Sachsenhausen c’era molto freddo, pioggia e vento, quasi come se la natura ci volesse avvisare già all’ingresso delle atrocità che vi erano state compiute. Sul cancello la scritta ARBEIT MACHT FREI, come un cartello “attenti al cane”, invitava a non entrare. Mentre stavo in piedi nella piazza dell’appello, con il giaccone, la sciarpa di lana e i risvoltini, pensavo a quelle persone raccontate dalla guida, costrette a 14 ore in piedi, al freddo, con nessuna consolazione in un ritorno ad un albergo caldo, che invece aspettava noi di li a poche ore. Una domanda martellante ed insistente ricorreva nella mia mente: < ma come hanno fatto a resistere?>. Qui lo dico e qui lo nego, io avrei preferito spararmi piuttosto che sopportare tutto questo. Mi dimentico però che molti di loro avevano poco più di 14 anni. Come si può desiderare la morte quando hai un’età che grida speranza, quando non conosci ancora la bellezza della vita e la immagini solo, in un futuro perfetto, dove morte e ingiustizie sarebbero dovute cessare, dove il ricordo avrebbe dovuto impedire il ripetersi degli stessi errori. Invece questo non è bastato e la gente, tra selfie e freddure, ha dimenticato.

È proprio vero, quando entri in luoghi di profondo dolore, se stai in silenzio e tendi l’orecchio in ascolto, ancora lo percepisci quello che è accaduto. Non solo lo percepisci, ma lo provi fisicamente, ti viene quasi da vomitare mentre immagini tutta la sofferenza che è stata inflitta.

Il mondo fuori dalle mura però è sordo, non ha tempo di stare ad ascoltare i morti e per questo, con il suo rumore, li uccide per la seconda volta.

Mi avevano raccontato quindi, la potenza di questi luoghi, ma io, fino ad oggi, non ci avevo mai creduto.

 

Secondo giorno. Mercoledì 29 febbraio.

Devo ammettere di non ricordarmi proprio tutto di questa giornata, un po’ per la distrazione, un po’ per la stanchezza, un po’ per la guida non troppo coinvolgente. Oggi abbiamo fatto un percorso tutto all’italiana, siamo andati a vedere le baracche dove migliaia di soldati italiani sono stati deportati per diventare lavoratori coatti, ovvero schiavi. Durante il viaggio di andata ci hanno chiesto:< Se avreste potuto scegliere tra tornare a casa dalle vostre famiglie come soldato tedesco o rimanere integri nei vostri valori come deportati in Germania cosa avreste risposto?>. Nessuno sul pullman fiatò.

Quello che mi colpì in questa visita fu una scritta, incisa sul muro della cantina della baracca numero 13, usata come rifugio durante i bombardamenti: “ du bist meine und ich bin dein”. Scritta in un tedesco scorretto che ora non ricordo bene e significava, tu sei mia e io sono tuo. Mi ha sorpreso vedere quanta speranza infondevano queste singole parole e quanta forza ci sia voluta per dire NO, io non mi arruolo, non tradisco la mia patria, io resisto. Molti sono morti a causa della loro decisione, molti non sono più tornati ma questo è un pezzo di storia che non viene ricordato, come non fosse mai avvenuto.

I miei ricordi non finiscono qui, come non finì qui la nostra gita. Nei giorni a venire visitammo la città, questa grande metropoli che mi ricorda un vecchio saggio, di quelli dalla faccia stanca e vinta, che però suscitano rispetto e timore sui più giovani, che hanno visto poco e vissuto niente. Una città piena di storia, piena di gente, piena di vita, piena di contrasti per cui tu puoi decidere se amarla totalmente o disprezzarla. In ambo i casi verso di lei potrai provare solo emozioni forti.

Questo è quello che vale la pena di essere ricordato, non per la sua bellezza o per le emozioni che molto silenziosamente se ne andranno, ma come testimonianza di qualcosa che esisteva ed esiste, come monito, perché l’uomo è atroce.

Giovani oggi: sciopero degli studenti per chiedere il rispetto degli accordi sul clima

Giovani oggi: sciopero degli studenti per chiedere il rispetto degli accordi sul clima

“Le persone ci dicono sempre di sperare che i giovani salveranno il mondo. Ma non sarà così. Semplicemente non c’è abbastanza tempo per aspettare che cresciamo e diventiamo quelli al potere.”

Inizia così il discorso tenuto da Greta Thunberg davanti al presidente della Commissione Europea Juncker.

La sedicenne svedese decise, l’agosto scorso, di saltare la scuola per andare a sedersi davanti alla sede del Parlamento di Stoccolma, chiedendo azioni immediate per far fronte alla crisi climatica in atto. Nel frattempo la sua popolarità è cresciuta portandola sul palco delle Nazioni Unite e di Davos.

Sola, con un cartello in mano, la giovane ha dato vita a un movimento mondiale chiamato “Giovani per il clima”, diffusosi via web.

Il suo esempio ha smosso milioni di studenti da tutto il mondo, che ancora una volta si riuniranno davanti ai municipi delle loro città venerdì 15 marzo, dalle 9 alle 13, per ricordare ai governi che esiste un patto a cui devono attenersi, gli accordi di Parigi sul clima.

“Abbiamo già tutte le informazioni e le soluzioni, dobbiamo solo svegliarci e darci da fare”.

Questo è quello che faremo, svegliarci, e se qualcuno ci dirà che la lezione è più importante, risponderemo che non ha senso studiare se per noi non ci sarà nessun futuro.

Ci restano undici anni per invertire la rotta, secondo un rapporto del comitato Onu sui cambiamenti climatici, altrimenti per la mia generazione sarà troppo tardi, stiamo finendo il tempo a disposizione.

Nel 2078 avrò 80 anni, e quando i miei nipoti mi chiederanno come mai non abbiamo fatto niente quando avremmo potuto, non avrò il coraggio di rispondere.

Si può fare la differenza anche in una piccola realtà come quella del nostro Appennino, perchè non si è mai troppo piccoli per fare qualcosa, come ci ricorda la giovane Greta.

“Stiamo sistemando il vostro caos e non ci fermeremo finché non avremo finito”.

(Beatrice Bramini)